lunedì 20 ottobre 2008

Vikram Chandra - Giochi sacri


E così,dopo 1100 pagine e rotti,ho finito "Giochi sacri".Gran libro.Non un capolavoro,ma un gran libro.Una detective story con due personaggi da antologia,Ganesh Gaitonde e Sartaj Singh.Il gangster ed il poliziotto.Ma non lasciatevi ingannare.Qua non c'è una definizione netta di ciò che è bene e ciò che è male.Invece,c'è una grande rappresentazione dell'India,della sua storia,delle sue contraddizioni e dei suoi conflitti.Che,come spesso accade,sono quasi sempre frutto di differenze religiose.Ed è proprio questa voglia da parte dell'autore di dare un quadro fedele di ciò che il paese indiano è ed è stato che mi fa accettare tre o quattro parti del libro che ai fini della vicenda si sarebbero potute benissimo escludere.Compresi i due episodi finali che nulla tolgono e nulla aggiungono al libro.Che riprendono sì vicende del libro lasciate in sospeso,ma vicende di cui non si sentiva il bisogno di conoscere il finale.
Il personaggio che verrà amato da chiunque leggerà questo libro rimane comunque Ganesh Gaitonde,il gangster.Un personaggio assurdo,la cui vita verrà raccontata nei più piccoli particolari per spiegare il suo tragico destino che viene svelato sin dalle prime pagine.Spietato,sessualmente insicuro,traumatizzato dall'infanzia,bisognoso di una guida spirituale e di un'amicizia femminile,il cattivo della vicenda vive mille vite in una.Riuscendo sempre a risorgere.Almeno fino alla tragica e delirante fine.
Libro che vale la pena di affrontare.Anche se,mi ripeto,qualcosa delle 1156 pagine poteva rimanere nel cassetto dell'autore.
-"E' inevitabile.E' per questo che tutte le grandi religioni parlano della distruzione che verrà.Pralay,qayamat,apocalisse.Ma non devi avere paura Ganesh.La paura deriva dal piccolo ego che ci intrappola.Tu sei infinitamente più grande.E da quella prospettiva più grande non c'è nulla da temere."
Sapevo che lo diceva per consolarmi,ma non serviva a niente.Certo,avrei potuto pensare a a me stesso come ad un occhio distaccato sospeso molto più in alto del terreno su cui camminavo,che leggeva - con piacere - tutto ciò che superava la conoscenza del mio corpo e l'orizzonte,ma non riuscivo a sentirmi così.No.Salutai Guruji e mi sdraiai immaginando questa immensa rete di avvenimenti che rimbalzavano e si slanciavano sempre in avanti,verso il fuoco e l'acqua,verso la dissoluzione,e mi si seccò la bocca.Mi sollevai su un gomito e afferrai un bicchiere d'acqua.Quando lo posai di nuovo,tintinnò lievemente sul sottobicchiere dorato e il rumore mi rimbombò nella testa.Le mani mi tremavano.Ogni gesto si univa agli altri,ogni azione causava quella successiva,e un'increspatura diventava un'onda e poi un torrente che scorreva impetuoso  verso l'ineluttabile precipizio.Forse persino quel minuscolo tintinnio del bicchiere ci aveva condotto in qualche modo impercettibile più vicini alla catastrofe che rieccheggiava.Un rumore si schiantò dentro di me,forse il battito del mio cuore,forse un'eco di tutto il resto contenente il principio e la fine,la nascita e la vita e la morte che tutto divora.-

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